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PENSIERO ECONOMICO-POLITICO

 

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“Quando incominciarono nel 1965 per Carosi i sintomi del male mi disse: “ Io mi ritiro”.
Ma non si ritirò. Venne sempre al Comune e in seguito, quando non poté più alzarsi dal letto, io, insieme ai consiglieri e alla guardia comunale andavo a casa sua. Là mi dava istruzioni e mi diceva il da farsi.
Una volta, stava per scadere il periodo di tempo che aveva stabilito il comune per li medico di Castel di Lama dott.Calvaresi. Per farlo continuare a lavorare doveva essere il Sindaco stesso con la giunta a deliberarlo. Gli telefonai, allora era ricoverato a Bologna.

“Come facciamo?” gli dissi.
“Ritorno io” rispose, e tornò da Bologna per due giorni, poi si ricoverò di nuovo”. - Ettore Nardinocchi -

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PENSIERO ECONOMICO – POLITICO: ETICA E POLITICA

Un’affermazione che Carosi raccoglie dalle parole del Papa è quella secondo cui l’ordinamento dell’economia nel quale generalmente si contribuisce all’attività economica degli uni col capitale, degli altri con il lavoro, non è “in sé” da condannarsi, in quanto non è di sua natura “vizioso”.
Infatti sia il capitale come il lavoro contribuiscono alla produzione ed è giusto, pertanto, che essi vi siano associati onde permettere il conseguimento dei beni necessari alla convivenza umana.

“Ma se questo è vero - prosegue Carosi - vero è anche che, – come subito nota l’Enciclica Quadragesimo Anno parte 3° n.101, - quando il capitale vincola a sé gli operai, ossia la classe proletaria col fine e con la condizione di sfruttare a suo arbitrio e vantaggio le imprese e quindi l’economia tutta, senza far caso, né della dignità umana degli operai, né del carattere sociale dell’economia, né della stessa giustizia sociale e del bene comune, allora l’ordinamento capitalistico dell’economia si pone contro il retto ordine, diventando, nella sua concreta applicazione, profondamente ingiusto. Ugualmente ingiusta è anche la pretesa degli operai che asserisce che quanto si produce, tolto qual tanto che basta a risarcire il capitale, appartenga di diritto all’operaio.
E’ necessaria una giusta ripartizione: una classe non può escludere l’altra dalla partecipazione degli utili, a ciascuno deve essere attribuita la sua parte dei beni e tutti devono contribuire al bene comune e alla giustizia sociale”.
Il problema della riforma dell’ordine sociale è, sostanzialmente un problema di ordine etico, di orientamento generale di tutta la vita.

Carosi fa una decisa condanna della “vita economica” del suo tempo colpendola nelle sue espressioni più caratteristiche.
“E’ ingiusta la vita economica di oggi: i pochi che dispongono del denaro a loro piacimento commettono le peggiori ingiustizie e frodi, frequenti speculazioni, soffocano ogni giusta libertà del mercato; una preminenza economica si impone sulla politica interna, sulla direzione degli Stati, sulle relazioni internazionali e genera un mondo in cui solo gli interessi economici sono quelli che contano, non gli uomini, i popoli, la giustizia, la sete delle ricchezze e dei guadagni senza freni.
Vediamo anche la piccola e media proprietà scemare e svigorirsi nella vita sociale, costretta com’è ad una lotta difensiva sempre più dura e senza speranza di buon successo.
Vediamo le ingenti ricchezze che dominano l’economia privata e pubblica e l’attività civile e di contro innumerevoli persone che prive di ogni sicurezza della propria vita dimenticano i veri ed alti valori dello spirito, rinunciano ad una più genuina libertà e si gettano al servizio di qualsiasi partito politico, schiavi di chiunque prospetta loro in qualche modo pane e tranquillità.
Per cui è chiaro quel che si avverte nell’Enciclica, conclude Carosi, che la condanna non può andare solo alle istituzioni, ma anche all’uomo, il quale per gli effetti discordanti dell’anima, triste conseguenza del peccato originale, pensa solo al guadagno, ad accrescere la propria fortuna, a star bene cercando in tutte le cose il proprio interesse non curandosi del male che arreca e dei crimini che commette”.
Queste le valutazioni di Carosi, alla luce del pensiero cristiano di un ordinamento economico degenerato in misura tale da recare i più gravi danni alla convivenza umana.

Carosi chiarisce inoltre un altro importante aspetto: quello delle soluzioni che  si sono volute apportare ai constatati mali della società da parte di due partiti principali, discordanti per lo più tra loro e inimicissimi, ma pur tali che nessuno dei due si scosta dal fondamento proprio di ogni socialismo: il comunismo e il socialismo.
- Una parte del  partito socialista precipitò nel comunismo, che insegna e persegue due punti: una lotta di classe più accanita e l’abolizione assoluta della proprietà privata con ogni mezzo e senza alcun rispetto degli uomini della chiesa e di Dio stesso.
- Più moderato è l’altro partito che ha conservato il nome di socialismo; esso rigetta il ricorso alla violenza e in qualche modo si avvicina a quella verità che la tradizione cristiana ha sempre insegnato e che propongono a regione i riformatori cristiani della società.
“Infatti si può ben sostenere quanto propongono riguardo a certe categorie di beni che per la loro preponderanza economica devono essere riservate solo ai pubblici poteri e non lasciate in mano a privati cittadini senza pericolo del bene comune.
Il socialismo però non ha rinunciato ai suoi motivi dottrinali contrari alla religione cattolica; dichiara che gli uomini devono essere sottomessi alla società e unirsi solo in vista del benessere economico; l’unico importante a cui devono tendere, mentre la dottrina cristiana pone per fine all’uomo socievole di vivere adempiendo fedelmente i doveri del suo Stato a gloria del Creatore e giungere alla felicità temporale e insieme all’eterna”.

A questo punto Carosi prospetta due fondamentali conclusioni dell’insegnamento pontificio:
1)      Non separare l’economia dalla morale e quindi non tener conto dei soli valori economici, dimenticando o conculcando quelli spirituali;
2)      Non subordinare l’individuo alla collettività in modo tale da renderlo schiavo di questa. La chiesa non condanna quindi solo le forme capitalistiche dell’economia che sono ingiuste per il loro dispotismo economico ma anche le esperienze socialiste e comuniste che “con la forza di moltitudini organizzate usano la loro potenza a danno della giustizia e del diritto altrui”.

 

PENSIERO ECONOMICO – POLITICO: CAPITALE E LAVORO:

Ad un uditorio fattosi più numeroso ed assiduo richiamato dal successo ottenuto dall’iniziativa dell’anno precedente, nel secondo corso di conferenze sulla sociologia cristiana organizzato nell’autunno del 1947 Carosi prese a tema di studio il carattere sociale ed individuale della proprietà.
Quale logica conseguenza delle premesse poste e delle condanne formulate, durante il primo “corso” del 1946, la serie di lezioni si propose di illustrare l’insegnamento della Quadragesimo Anno nella sua parte ricostruttiva di un ordine sociale cristiano.
Esso secondo Carosi, mira:
“A) a ricondurre una sezione così importante della vita sociale, qual è l’attività economica, ad un ordine sano e bene equilibrato;
B) a promuovere l’intero rinnovamento dello spirito cristiano, da cui purtroppo si sono allontanati tanti di coloro che si occupano di cose economiche – altrimenti tutti gli sforzi cadranno a vuoto”.
E poiché l’ordinamento economico moderno è fondato particolarmente sul capitale e sul lavoro, Carosi avverte subito la necessità di evitare l’estremo dell’individualismo da una parte come del socialismo dall’altra.
Si dovrà avere riguardo alla doppia natura, individuale e sociale, propria tanto del capitale, quanto del lavoro. Ecco come Carosi sintetizza brevemente quanto l’Enciclica dichiara a proposito dell’una e dell’altro: “la proprietà ha una doppia natura: una natura individuale e una natura sociale a seconda che riguardi gli individui o si riferisce al bene comune”.

Da questa premessa è chiaro che il problema della proprietà, tradotto nella realtà concreta della vita, diventa il problema del come far coesistere o anche del come contemperare il servizio che essa deve rendere all’individuo in quanto individuo, che per mezzo della proprietà privata ha diritto di provvedere a sé e alla propria famiglia, col servizio che essa deve ugualmente rendere alla società.
In conclusione, sintetizza Carosi: “ la proprietà privata deve servire al vantaggio dell’individuo, ma anche al bene comune; il diritto di proprietà può essere limitato e circoscritto delle necessità della convivenza sociale, ma non può essere abolito nella sua espressione individuale.
Inoltre gli uomini dovranno tornare alla vita e alle istituzioni cristiane, come riprende Pio XI nel Rerum Novarum al n.22, poiché  questo può distogliere gli esseri umani affascinanti e immersi nelle cose transitorie di questo mondo e riportarli verso il fine supremo a cui devono tendere.
Infatti il troppo attaccamento ai beni caduchi è l’origine di tutti i vizi e di tutti i mali”.
“ma chi spetta, si chiede Carosi il determinare i limiti e i doveri delle proprietà?”.

Anche per rispondere a questa domanda, ispirandosi al pensiero sociale della Chiesa chiaramente espresso nella Quadragesimo Anno senza titubanze Carosi  afferma che: “tale compito spetta ai pubblici poteri a condizione però di tenere nel debito conto la vera necessità del bene comune e  la legge naturale e divina. Di conseguenza lo Stato”.
Precisando le vie per mezzo delle quali lo Stato può raggiungere il suo intento di assicurare il servizio sociale delle private possessioni armonizzando l’interesse collettivo del corpo, con quello particolare dei singoli membri, il Carosi recita: “l’espropriazione, la requisizione allorquando l’utilità pubblica lo esige, la nazionalizzazione ossia l’attribuzione allo Stato di alcune industrie e servizi, la divisione del latifondo, il controllo statale sulle imprese private che hanno compiti di servizio pubblico, l’accessione al proletariato alla proprietà, la prescrizione legale dei prezzi di alcune merci ecc…”
“Se la nazionalizzazione è permessa per quei beni che portano seco tanta importanza economica da non potersi lasciare in mano dei privati, senza pericolo del bene comune, non è giusto, scrive Carosi, il principio del comunismo di voler collettivizzare tutti i mezzi di produzione senza eccezione alcuna”.
Una volta posta la proprietà privata come elemento di base della struttura economica e sociale dei popoli, ed averne stabilito gli scopi e quindi i limiti, nella sua sistematica esposizione del pensiero sociale della Chiesa, Carosi passa a sviluppare un argomento che deriva come logica conseguenza da quello trattato; quello cioè dei rapporti fra capitale e lavoro nel problema della giusta ripartizione delle ricchezze.

 “Il problema, scrive Carosi, può essere adeguatamente risolto tenendo presente queste due considerazioni fondamentali:

  1.  che la spartizione dei beni in private proprietà, come afferma l’Enciclica, è stabilita dalla natura affinché le cose create possano dare agli uomini una comune utilità stabilmente e con ordine;
  2. che per la legge di giustizia sociale non può una classe escludere l’altra dai vantaggi”.

Pertanto, applicando tali principi ai rapporti fra il capitale e il lavoro quali fattori della produzione, Carosi rivela l’assoluta necessità che “ una più equa ripartizione avvenga fra loro essendo del tutto falso ascrivere o al solo capitale o al solo lavoro ciò che si ottiene con l’opera unita dell’uno e dell’altro”.

Cosicché, si può concludere col dire che: il capitale ha diritto alla sua remunerazione così come ne ha diritto il lavoro.

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