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COMM. LUIGI FERIOZZI

 

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PENSIERI

“Quando incominciarono nel 1965 per Carosi i sintomi del male mi disse: “ Io mi ritiro”.
Ma non si ritirò. Venne sempre al Comune e in seguito, quando non poté più alzarsi dal letto, io, insieme ai consiglieri e alla guardia comunale andavo a casa sua. Là mi dava istruzioni e mi diceva il da farsi.
Una volta, stava per scadere il periodo di tempo che aveva stabilito il comune per li medico di Castel di Lama dott.Calvaresi. Per farlo continuare a lavorare doveva essere il Sindaco stesso con la giunta a deliberarlo. Gli telefonai, allora era ricoverato a Bologna.

“Come facciamo?” gli dissi.
“Ritorno io” rispose, e tornò da Bologna per due giorni, poi si ricoverò di nuovo”. - Ettore Nardinocchi -

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Vice-segretario della Democrazia Cristiana picena.

Ascoli Piceno, lì  12.12.82 e 14.12.82

- Come nasce in Appignano del Tronto la Democrazia Cristiana?

- Ad Appignano la Democrazia Cristiana non è sorta all’improvviso, così, dalla mattina alla sera,  anche perche in politica non si crea niente dal nulla. C’era un fondo appetibile, un humus naturale, in cui la Democrazia Cristiana poteva attecchire e crescere rigogliosamente. Quel’era questo humus?  I fattori erano diversi;  innanzitutto c’era una validissima Azione Cattolica. Inoltre c’erano le vecchie Leghe bianche contadine,  del Partito Popolare,  il partito di Sturzo.

Durante e prima del fascismo infatti il Partito Popolare aveva avuto in Appignano le sue leghe bianche;  i contadini erano organizzati come leghe cristiane che avevano dei rappresentanti piuttosto validi.  (Uno di questi era l’ingegnere Stipa che è stato il più giovane Sindaco d’Italia per il Partito Popolare allorchè fu Sindaco di Appignano).

Con l’inizio della vita democratica molti degli appignanesi che avevano partecipato alle lotte politiche dal ’19 al ’22 e che erano per convinzione cristiani, insieme a molti contadini con a capo Cesaretto, che avevano partecipato alle leghe bianche, e agli iscritti all’Azione Cattolica, nel momento in cui è venuta fuori la Democrazia Cristiana, passarono in questo partito.  Anche Tozzi che veniva dall’Azione Cattolica nel momento in cui venne fuori la Democrazia Cristiana divenne un esponente di questo partito. Ricordo anche l’operato di Luigi Stipa che fu uno dei primi che riuscì,  mettendosi d’accordo con gli americani, a ritrasferire in Inghilterra molti prigionieri che si trovavano dalle parti nostre.  Questo Stipa aveva con sé diversi ragazzi che lavoravano con lui; Stipa popolare, Stipa democratico cristiano, non ha fatto altro che coinvolgere, trascinare con se questi giovani.  Per quanto riguarda invece le altre posizioni politiche, in quei momenti gli unici partiti erano il Partito Comunista e il Partito Socialista.

In Appignano c’era un comunista famoso,  Pietro Sermarini detto “Faggetta”,  un comunista che era un figura.  E non è detto che Appignano pure essendo in netta maggioranza schierata sulle posizioni democratiche cristiane,  non avesse una vivace opposizione col Partito Comunista,  in questo” Faggetta” .  Il Sermarini era una figura tipica di Appignano;  era un comunista autentico,  convinto,  che ha lavorato ed è morto per i suoi ideali. Ha sopportato angherie e soprusi, (da parte dei tedeschi durante la guerra), ma nonostante ciò è rimasto sempre della stessa idea.  Era un uomo di fede, un uomo pulito, un uomo che ha cercato di essere coerente con le proprie idee,  e va rispettato per questo.  Effettivamente questo esempio di “Faggetta” avrebbe potuto attrarre attorno a sé molte persone: questo non è avvenuto perché “Faggetta” era un comunista isolato, a sé, con la sua configurazione.  Il suo modo di fare e di agire era tale per cui lui era il comunista e basta, quindi, non aveva adepti, non riusciva ad averli, anche perché non era un trascinatore.

Questo fatto favorì indirettamente lo sviluppo della Democrazia Cristiana in quanto il Partito Comunista veniva configurato in questo soggetto che, per quanto corretto, per quanto lavoratore e idealista, non aveva seguito. L’unica possibilità di fiancheggiare la Democrazia Cristiana, in quel momento veniva dal Partito Socialista, perché molti degli appignanesi prima del fascismo erano stati socialisti, quindi era ipotizzabile un recupero in questo settore di tanti socialisti,  non solo tra gli elementi che avevano vissuto il socialismo post-guerra, ma anche tra il gruppo dei familiari.  Allora, infatti, nelle nostre terre la famiglia,  il gruppo, aveva un valore notevole; era inconcepibile che in un gruppo, in una famiglia, potessero coesistere elementi appartenenti a più partiti. Quello del partito era una scelta familiare. Però il Partito Socialista non ebbe fortuna dopo la guerra, perché non aveva una identità ben definita. In paese, perciò la voce più forte non era quella dei socialisti, era quella dei comunisti. I socialisti vivevano di vita riflessa, infatti l’impostazione politica, l’attivita’, i comizi erano comunisti.  A quel punto avvenne che i vecchi socialisti che non vollero fare la scelta verso la Democrazia Cristiana (perche molti avevano fatto questo passaggio) se ne andarono verso il Partito Comunista,  per cui le uniche espressioni politiche che c’erano in Appignano erano queste: Democrazia Cristiana e Partito Comunista.

Il Partito Comunista, condizionato proprio da quei soggetti che erano rimasti per fede attaccati a questo ideale, ma non attaccati alla realtà sociale e soprattutto, senza aver fatto breccia sull’elettorato, alle prime elezioni risultò in netta minoranza. (Circa 300 voti su oltre 1500). Quando andammo alla 2° e 3° consultazione amministrativa,  noi della Democrazia Cristiana avevamo oltre 55 comuni piceni amministrati dalla Democrazia Cristiana.  Un altro particolare che ha influito positivamente sulla scelta della Democrazia Cristiana è stato il fatto che in Appignano la popolazione era formata in genere da coltivatori diretti,  piccoli proprietari, artigiani, commercianti, soggetti che non sono mai portati verso le scelte estreme;  quindi in Appignano non si è avuto né il Partito comunista, ma nemmeno il Partito Fascista, cioè il Movimento Sociale. C’è stata una scelta politica moderata trattandosi di una popolazione che in realtà era così. Ha influito anche la mancanza di operai che in genere rappresenta la spinta verso situazioni estreme. Tutti questi fattori sono stati non unicamente determinanti, ma, nell’insieme, tutti complementari.  Nessuno di questi fattori da solo avrebbe portato a queste conclusioni,  ma tutti questi fattori messi insieme hanno permesso l’affermazione della Democrazia Cristiana che allora rappresentava un partito di sicurezza, un partito di certezza, di libertà. Oggi il Partito Comunista sta avvicinandosi a situazioni più moderate, più accettabili, più liberatorie, prima invece era un partito puro che si presentava cosi e che in quell‘ ambiente non trovava fortuna.

In quei tempi il comunismo italiano era Stalin, nelle campagne da parte comunista si sentiva : “Ha da venì Baffò”, il che dimostrava che non si accettava un partito comunista italiano, ma una sudditanza verso Mosca che era l’”ipse dixit”. Quando noi, il 18 aprile,  facemmo la scelta storica del Patto Atlantico, io ricordo che venivamo violentati,  perché eravamo additati come il partito del governo nero,  suddito degli americani. Queste sono le cause determinanti la nascita della Democrazia Cristiana, che in buona parte erano comuni a tutto il piceno, perché la stragrande maggioranza dei comuni era su questo piano. Erano comuni che non abbiamo avuto difficolta’ a schierare sulla linea democratica cristiana.

La prima amministrazione in Appignano fu democratica cristiana e a prendere le redini della amministrazione fu proprio il maggiore Priori il quale, in effetti, veniva fuori da questo ambiente democratico.  Dopo il fascismo, siccome gli uomini del Partito Popolare vivevano ancora, hanno ricordato e proseguito l’azione interrotta attraverso la Democrazia Cristiana. E’ stato un revival di carattere politico e forse  anche di carattere sentimentale, infatti moltissimi uomini, che in realtà prima dell’avvento del fascismo erano nel Partito Popolare, si sono ritrovati a riallacciare queste scelte sotto il comando di Priori che rappresentava la prosecuzione di questi ideali violentati dal fascismo. Don Sturzo era vivo ma purtroppo in esilio in America.  Purtroppo perché?  Perche quelli che erano qui,  nel nostro paese,  decisero di creare un nuovo partito e di chiamarlo Democrazia Cristiana; ed è stato un errore, per me, perché questo partito doveva seguitare ad essere chiamato Partito Popolare così come era stato chiamato prima.  Infatti il nome Democrazia Cristiana era tropo impegnativo, troppo condizionante.  “Cristiana” è un aggettivo che ha dei risvolti positivi in quanto coloro che credono in questa ideologia, in questa fede, si sentono obbligati a seguire il partito che rappresenta la materializzazione di tale messaggio, ma anche risvolti negativi, infatti,  molti si sentono turbati da questo aggettivo perché non hanno questa idea cristiana.

Quando la Democrazia Cristiana ha affrontato la prima prova determinante e forse decisiva (quella del 18 aprile 1984), si diceva che una quantità di popolo si era stretta intorno allo scudo crociato non tanto perché convinta di aderire ai programmi sociali dei cristiani, ma perché la Democrazia Cristiana rappresentava l’unica forza di libertà in opposizione alla paura del comunismo. Quando Togliatti, alla vigilia delle elezioni del 18 aprile, annunziò che lui aveva pronto uno scarpone per prendere a pedate nel deretano De Gasperi,  i comunisti credevano di avere partita vinta. La Democrazia Cristiana affrontò la battaglia e la vinse con una maggioranza assoluta. De Gasperi poi, all’indomani della maggioranza assoluta ebbe la saggezza di coinvolgere i partiti laici;  non governò da solo; chiamò a raccolta i partiti e pur avendo stravinto, cercò di coinvolgere nella gestione politica tutti. E questo messaggio di De Gasperi,  forse l’uomo più grande della politica italiana, uno statista liberal-cristiano, fu proprio quello che cercò di far venire fuori Moro, quando propose, poco prima che venisse rapito ed ucciso,  l’ingresso almeno nei fatti, di altre forze, ivi compreso il Partito Comunista e quello di Andreotti quando propose il governo nazionale che era proprio un coinvolgimento di tutte le forze democratiche considerate  tali nel governo del paese.  Un nemico lo puoi superare o uccidendolo, o guadagnandolo alle tue idee, quindi l’unica cosa era quella di coinvolgerli nella gestione democratica. Io ricordo, e me lo ha detto personalmente, che De Gasperi manifestava il suo profondo rammarico per non aver trovato in Pietro Nenni un socialismo disponibile alla Democrazia Cristiana.  Era il cruccio di De Gasperi. De Gasperi sarebbe stato ben lieto all’indomani della vittoria della Democrazia Cristiana, di chiamare al governo anche Pietro Nenni:  non lo poté chiamare, chiamò Saragat. Nenni andò in Russia a ricevere il premio Stalin,  anche se dopo ravvedutosi lo restituì.

-  Cosa successe in Appignano dopo le Amministrative del ’46?

- Quando in Appignano venne eletto il maggiore Priori, dovetti andare più volte in Appignano per cercare di assicurare quella compattezza necessaria tra gruppo consiliare al Comune e Direzione Sezionale del partito, affinché l’Amministrazione Comunale conseguisse successi e buoni risultati. Mi pare, senza esprimere critiche,  che Priori fu un buon Sindaco, ma, con Carosi si passò ad un’amministrazione più autenticamente democratica e più autenticamente cristiana. Il Carosi riuscì a dare più compattezza e un miglior assetto politico alla D.C. appignanese. Il maggiore Priori proveniva dalla vita militare. Spesse volte prevaleva in lui la divisa, lo stile militare e quindi l’autorevolezza. Rischiava di apparire un Sindaco autoritario. Tutto ciò creò,  alcune volte, situazioni di disagio in seno al gruppo consiliare. Con la gestione Carosi si ebbe un soffio di gioventù. Carosi era la stessa gioventù democratica che entrava nella vita amministrativa di Appignano. Ma questo non era il solo motivo per cui venne scelto Carosi.  Dietro Nicola Carosi era compatta la Democrazia Cristiana, perché egli era stato ed era un dirigente di punta dei democristiani di Appignano. Il buon maggiore Priori, validissima e seria persona, non era uomo di partito, un democristiano di prima linea;  era un uomo fedele agli ideali della Democrazia Cristiana,  ma non un uomo di battaglia.  Nicola rappresentava la grinta dei giovani democristiani di Appignano:  questo determinò la sua elezione a Sindaco. Carosi fu un giovane Sindaco che oltre a dedicare le primarie attenzioni al consolidamento della sede urbanistica del centro urbano, in quanto Appignano era ed è una zona calanghifera, si preoccupò dei problemi relativi all’edilizia scolastica e popolare ed a quelli della rete elettrica per il centro urbano e per la zona rurale;  mise in cantiere il problema della nuova rete fognante,  accelerò i tempi per il  rifornimento idrico quando il comune era consorziato con l’acquedotto di Pescara d’Arquata (il problema della sete era essenziale, fortemente sentito). Questa non è che una carrellata di problemi vitali per la comunità appignanese, la vita civile, per il progresso sociale, impostati e risolti nel breve giro di tre anni.  Penso che questo giovane e valido Sindaco debba essere ricordato con commosso e grato apprezzamento.

-Che rapporti ha avuto con il Sindaco Carosi?

- Carosi era un uomo tenace, implacabile, se aveva un problema non ti dava tregua fin quando non lo aveva risolto completamente. Quando era Sindaco, quasi ogni giorno andava alla Segreteria del partito o veniva a casa mia perché aveva quasi sempre qualche cosa da chiedermi. Era un Sindaco che aveva a cuore la sua gente. I problemi del suo Comune erano i problemi del mondo e allora ci metteva grinta, fervore, ostinatezza. Alcune volte veniva da me per accelerare i tempi delle realizzazioni, per una casa popolare da portare al tetto, per l’acquedotto da capillarizzare dal centro urbano alla campagna, per il problema delle strade padronali da trasformare in strade comunali o per le strade da asfaltare. Carosi non faceva finta di fare il Sindaco, anzi lo faceva con autorevolezza. Quando c’era uno scoglio che avrebbe potuto superare ad indebolimento di una sua coerenza, non lo faceva. Prevaleva la sua coerenza , la fedeltà ad una linea. Era un Sindaco, che si faceva amare e rispettare e l’avversario lo temeva con stima. Come segretario provinciale della Democrazia Cristiana non potevo non tenere pressoché metodici contatti con la periferia del partito, e la periferia del partito non è fatta solo di tessere. Un partito di maggioranza relativa doveva fare veramente da mastice tra la base popolare e il vertice operativo che era quello del governo, dei senatori , dei deputati. Quindi come segretario provinciale del partito di maggioranza relativa dovevo non soltanto fiancheggiare l’opera delle amministrazioni democristiane che facevano capo al partito (sindaci democristiani, assessori democristiani),  ma dovevo svolgere un’azione di propulsione , di stimolo, di controllo. Alla amministrazione di Appignano come a qualunque altra amministrazione democristiana davamo un indirizzo politico su una certa problematica, una linea di azione amministrativa, consigli agli amministratori, ma si dava anche la doverosa assistenza e solidarietà perché l’impegno meritorio di un’amministrazione andasse a un risultato positivo.

-Quando conobbe Carosi?

-Io ho incontrato Carosi al 3°congresso provinciale della Democrazia Cristiana ancora sotto il caldo clima della liberazione. Era il 28 luglio 1946, noi celebravamo il 3° congresso della Democrazia Cristiana. Quel giorno arrivò un Sindaco in bicicletta; era il Sindaco Carosi che era venuto da Appignano insieme ad altri compagni ad assistere al congresso come l’attivista della Democrazia  Cristiana desideroso di partecipare per conoscere Tozzi e Tartufoli e per portare il contributo della propria parte politica appignanese. Mi disse che veniva a portarci la conferma che Appignano voleva essere ancora una volta, come in passato, nel partito popolare prima del fascismo, una popolazione bianca ad ispirazione cristiano democratica e fece molto effetto che una pattuglia di giovani da Appignano in bicicletta raggiungesse S. Elpidio che è quasi ai confini con Macerata

-Carosi non fece nessun intervento?

- Credo che intervenne perché il dibattito durò due giorni e il congresso fu presieduto da Umberto Tupini che era il vicepresidente dell’assemblea costituente e che era stato il primo marchigiano al tempo della liberazione a far parte del governo. A ripensarci bene ricordo di aver conosciuto Carosi anche prima del ’46, prima del fatto ciclistico. L’ho conosciuto quando sono venuto in Appignano al primo incontro dei democratici cristiani e già lui faceva parte del direttivo sezionale. Era un ragazzo assennato, già geometra, apparteneva a una famiglia di tradizione cattolica, era un giovane che aveva le idee chiare in testa, modesto ma anche, alla bisogna, forte, risoluto, deciso, un giovane che sapeva darci una sua coerenza incisiva e ha fatto un’ottima prova quando è stato designato Sindaco dalla sua amministrazione e dai suoi consiglieri e la popolazione lo ha riconosciuto. Infatti alla sua morte c’è stata una testimonianza popolare, non di una parte politica, la Democrazia Cristiana , ma di tutta la cittadinanza di Appignano che si stringeva in quella circostanza triste a rendere l’omaggio e la riconoscenza a chi omaggio e riconoscenza meritava di avere, in accento commosso, in solidarietà vera, autentica.

- Qual’era il pensiero politico di Carosi?

- Carosi aveva una visione unitaria del partito che doveva essere unito sulle grandi cose. Ciò non significava un partito paralizzato, monolitico e muto, ma un partito parlante e libero. In seno al partito Nicola desiderava una libera circolazione di idee: il dibattito. Il partito veniva da lui stimolato ma non giungeva mai a divisione. De Gasperi ci aveva sempre ammonito, che la cosa più importante e più preziosa che la Democrazia Cristiana doveva sempre mantenere, per essere capace di servire la nazione e per essere sentinella di liberta per tutti, era l’unità sul piano democratico in politica. Nicola era un fedele mio amico sul piano della politica centrista. La Democrazia Cristiana doveva essere fuori dalle febbri delle correnti, fuori dal rischio di fare l’occhietto a sinistra, l’occhietto a destra, una Democrazia Cristiana fedele a se stessa in una collocazione centrale, in equidistanza, vigilante e operante da tutti gli estremisti di sinistra e di destra. Per Carosi la Democrazia Cristiana in politica doveva avere una forte capacità di sintesi sociale, di solidarismo popolare e non di lotta di classe.

- Carosi ha avuto contatti con De Gasperi?

- Si, quando andava a Roma per le pratiche del comune frequentava la sede in Piazza del Gesù. Ha partecipato con me ai convegni nazionali per i problemi comunali, convegni di sindaci della Democrazia Cristiana. Ha avuto modo perciò più volte di parlare con De Gasperi, perché De Gasperi o a livello politico come leader della Democrazia Cristiana italiana, o a livello governativo, come capo di governo o come ministro degli esteri, aveva i contatti con noi nelle assemblee a livello di azione di governo per i problemi che riguardavano la nostra terra , il nostro piceno, le nostre  Marche, le nostre comunità. Per altro Nicola non era che se ne stesse molto buono in Appignano, usciva da Appignano per battersi per Appignano e si rendeva presente in tante occasioni per portare la voce del suo paese; ciò significava fare il proprio dovere verso i suoi cittadini.

- Come in ogni altra parte, sorse dalla lotta di liberazione. La lotta di liberazione ci aveva visti attivi e impegnati coraggiosamente. Quando nel settembre del ’43 a pochi giorni dall’armistizio col governo Badoglio, Ascoli insorse contro i tedeschi, si può dire che accese la prima, forse una delle primissime fiamme della libertà. Quel giorno Ascoli si vide invasa da un autocolonna tedesca che veniva da Roma. La città non curvò la schiena quando i tedeschi con carri armati e con autoblinde si portarono ad occupare il presidio militare. Essi trovarono la pronta e istintiva resistenza del presidio, allora comandato dall’ascolano colonnello Santanchè. Ascoli, con i pochi soldati a disposizione oppose immediata resistenza all’arroganza dei tedeschi che ritenevano di fare una passeggiata occupando caserme. I tedeschi furono costretti alla resa. Il colonnello Santanchè rimase ferito mentre era con la sua mitragliatrice ad opporre resistenza. Il tenente Albanesi, purtroppo, immolò la sua vita rimanendo colpito da una pallottola tedesca. Il povero tenente Albanesi cadde da eroe per fare in modo che Ascoli non si curvasse alla protervia dei tedeschi e restasse fedele, non soltanto alla monarchia, quanto al suo civilissimo passato di città patriottica. Ma accanto a questa azione di resistenza istintiva del piccolo presidio militare vi furono giovanissimi di diciotto anni che imbracciarono il fucile per respingere i tedeschi; molti di essi vennero uccisi sul colle San Marco. Così noi registrammo questa pagina di storia, di libertà, non soltanto per l’eroismo, la prontezza e l’immediatezza dell’azione difensiva del presidio militare da parte del colonnello Santanchè e dei suoi uomini, ma anche per il coraggio della popolazione che si affiancò ai suoi soldati.

I tedeschi si arresero, lasciarono la città e da questa pagina iniziale bellissima del 12 settembre 1943, venne fuori la resistenza partigiana del piceno: i giovani, compreso il sottoscritto, dovettero abbandonare la città perché non si poteva non prevedere che sarebbero tornati i tedeschi a farcela pagare. Dovemmo allora rifugiarci sulle montagne. Per queste azioni la provincia di Ascoli può fregiarsi della medaglia d’oro al valore della resistenza. La Democrazia Cristiana è sorta da questi fatti. Fin dal 1943 vi hanno collaborato i giovani provenienti dall’azione cattolica che avevano già conosciuto Renato Tozzi-Condivi. Il Tozzi-Condivi è stato il primo parlamentare delle Marche, direi il pioniere, l’animatore del movimento cattolico democratico  della nostra regione, il deputato di Ascoli di tutte le legislature dalla Costituente all’ottava legislatura. Questo uomo è stato maestro di vita cristiana; nel ‘43 organizzò le prime file dei “liberi e forti”, i democratici cristiani di  Luigi Sturzo, e dopo la liberazione fu, di diritto, il primo presidente del Comitato Nazionale di Liberazione e io modestamente sono stato membro supplente del Comitato Nazionale di Liberazione. Nel Comitato di Liberazione presieduto dall’on. Tozzi-Condivi primo presidente, già si configurava quella Democrazia Cristiana che poi sarebbe divenuta la grande forza di maggioranza relativa. Noi avevamo già da allora la sensazione di essere un partito veramente popolare. Nelle elezioni del ‘48, per la prima camera dei deputati e per la prima camera dei senatori, in provincia di Ascoli si registrò una delle più grandi vittorie della Democrazia Cristiana perché presentammo 4 candidati alla camera e 2 al senato: li avemmo tutti 6 eletti: Tozzi, De Cocci, Concetti e Giorgio Tupini alla camera e al senato (collegio di Ascoli) Tartufoli, (collegio di Fermo) Umberto Tupini. Quindi il buon seme lanciato da Tozzi-Condivi con la sua testimonianza di resistenza coraggiosa al fascismo attecchì.

Concludo dicendo che sarei felice di avere la sensazione di esserle stato di giovamento. Questa intervista l’ho fatta a cuore aperto, perche sentirmi più vicino allo spirito di Nicola (io l’ho avuto come un caro collaboratore in giornate, in stagioni politiche molto significative) è stato anche rituffare il mio animo nel passato, ma un passato non remoto, ma un passato presente, giacchè non mi dichiaro un pensionato della politica. A 60 anni si può restare sulla breccia, quando si crede con tutta l’anima nei valori che contano, nei  valori della libertà, nei valori cristiani della vita. Quindi aver fatto qualcosa per lei e stato per me un motivo anche di commozione. E’ stato un po’ come restare accanto a Nicola. Un uomo non può piangere, non può avere le lacrime agli occhi, però adesso io ce l’ho le lacrime agli occhi; ce l’ho questo velo dentro, che mi turba, ma gioiosamente, perché penso che, tutto sommato, posso ancora continuare questa mia battaglia per gli ideali della libertà, e penso di poter restare fedele ai grandi insegnamenti di Tozzi-Condivi, di Tartufoli, di Umberto  Tupini, di Alcide De Gasperi.

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