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ORIGINI E SITUAZIONE SOCIO-POLITICA DI APPIGNANO A CAVALLO DEL SECONDO CONFLITTO MONDIALE

 

ARCHIVIO FOTOGRAFICO

PENSIERI

“Quando incominciarono nel 1965 per Carosi i sintomi del male mi disse: “ Io mi ritiro”.
Ma non si ritirò. Venne sempre al Comune e in seguito, quando non poté più alzarsi dal letto, io, insieme ai consiglieri e alla guardia comunale andavo a casa sua. Là mi dava istruzioni e mi diceva il da farsi.
Una volta, stava per scadere il periodo di tempo che aveva stabilito il comune per li medico di Castel di Lama dott.Calvaresi. Per farlo continuare a lavorare doveva essere il Sindaco stesso con la giunta a deliberarlo. Gli telefonai, allora era ricoverato a Bologna.

“Come facciamo?” gli dissi.
“Ritorno io” rispose, e tornò da Bologna per due giorni, poi si ricoverò di nuovo”. - Ettore Nardinocchi -

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Appignano del Tronto

All’epoca di Nicola Carosi, Appignano del Tronto è una ridente cittadina posta sulle estreme pendici collinose del monte Ascensione digradanti dolcemente verso il fiume Tronto e il litorale adriatico. Il centro storico, arroccato su una dorsale di forma ovale è limitato a nord dalle profonde rupi in cui scorre il torrente Chifenti  e a sud da alte scarpate formate dall’erosione del fosso Pioppo. Da una pianta del secolo XVII si rivela che l’antico centro era molto più vasto dell’incasato attuale. L’abitato, solcato dal tre strade principali, appare un labirinto di viuzze, di vicoli, di piazzette fiancheggiate da case modeste e da Chiese; un insieme compatto attorno alla Chiesa di San Giovanni Battista che, posta quasi al centro, ostenta la maestosa torre cuspidata. La grande cerchia muraria medievale, le porte del castello, i bastioni, la piazza e un terzo del paese sono scomparsi, trascinati da frane sul fondovalle. Il paesaggio è caratterizzato da dolci dossi, sovente interessati da movimenti superficiali favoriti dalla scarsità delle alberature.  Singolare è il contrasto tra il verde oro dei seminativi e l’ottica dei calanchi adiacenti. Il clima risente delle condizioni dovute alla vicinanza del mare. Il territorio è diviso in quattro valli o contrade: Valle Chifenti, Monte Calvo, San Martino e Orta, ed è rinomato per la festività e l’eccellenza dei prodotti.

 

La popolazione

La popolazione appignanese, in prevalenza composta da lavoratori dei campi ed artigiani, conduceva un genere di vita raccolto, austero, quasi pastorale. Le principali attività dei residenti nel centro abitato, erano l’artigianato con il ruolo sussidiario dell’agricoltura; quindi erano molti ad esercitare il mestiere di fabbro-ferraio, sarto, calzolaio, falegname, carratore… Agli inizi dell’800 Appignano contava 1500 abitanti. Negli anni dell’immediato dopoguerra la diffusa esigenza di conquistare un fondo di proprietà radicalmente cambiò la situazione, determinando il tramonto della mezzadria e una inversione di tendenza sia per quanto concerne la dimensione delle aziende sia per quello che riguarda le colture: il tipo di coltura vecchia maniera, ancorato al sistema primitivo e lento del lavoro manuale, sotto i colpi inferti dalle inesorabili leggi del progresso tramontò definitivamente.

 

Gli anni del regime

La sudditanza tra padrone e mezzadro rimaneva immutata per via dei numerosi secoli di sottomissione rassegnata. Una triste realtà alla quale si sottraevano soltanto i giovani più avventurosi i quali, però, erano costretti all’emigrazione nelle americhe, col preciso intento di ritornare un giorno non lontano, allo scopo di acquistare col sudato risparmio un pezzo di terra per diventare proprietari a loro volta. I primi segni di lotta dei mezzadri contro i proprietari terrieri si manifestarono immediatamente dopo la fine della prima guerra mondiale con la formazione delle “leghe bianche” per una più equa ripartizione dei prodotti della terra. Nel periodo che va dalla fine della prima guerra mondiale al 1921 si assistette in Appignano alla progressiva scomparsa della classe politica dei “signorotti locali” sotto l’incalzare delle nuove leve politiche di estrazione popolare. Vale a dire quelle cattolico-popolare e quelle socialiste, mentre contro le une e le altre e soprattutto contro le loro organizzazioni sindacali (leghe bianche) cominciarono ad infierire le prime squadre fasciste.

Si può dire che Appignano accettò il fascismo senza entusiasmo, quasi come un destino, come una fatalità ineluttabile. In paese, insomma, non ci fu solo carenza di uomini convinti delle proprie idee e idonei a sollecitare gli altri alla formazione di mentalità democratica, ma per le componenti sociali della popolazione furono altresì assenti quegli stimoli che potevano costituire motivo di rivincita, speranza di cambiamento. Mancarono cioè i presupposti della fede nei valori della democrazia. Venne a mancare anche una certa cultura, almeno quella costituita da certe punte intellettuali che forse nella ricerca e nel desiderio di realtà diverse, avesse potuto propugnare una alternativa. Lo strato sociale della popolazione era quello di sempre: si proponeva per lo più di mezzadri, di proprietari terrieri e, nel centro abitato, di tanti e diversi artigiani interamente dediti alle attività connesse con il mondo agricolo.

Poi venne la follia della seconda guerra mondiale. Spentisi gli echi dell’entusiasmo per i primi successi conseguiti dall’asse nazi-fascista, cominciò lentamente a farsi strada nella coscienza popolare la consapevolezza dell’impari lotta, dell’impreparazione, e quindi dell’impossibilità di vincere la guerra, nonostante la soffocante propaganda di regime.

Al termine della seconda guerra mondiale dovunque si venne a creare in Italia una situazione di totale smarrimento. Era crollato un regime dittatoriale che aveva generato assuefazione a quella triste realtà e nello stesso tempo aveva impedito con ogni mezzo la conoscenza e la pratica della vita democratiche specie nei giovani. Non fu facile alle nuove generazioni disincantarsi dal paralizzante torpore. In Appignano durante il ventennio fascista non c’erano stati violenti contrasti, né alcuna forma di opposizione al regime. Gli anziani, che prima del fascismo avevano pur conosciuto le libertà democratiche, anche se si era trattato di vita non serena, a volte anche turbolenta, non erano riusciti a mantenere vivi gli ideali di libertà.

 

Dalla fine del conflitto al primo dopoguerra

Avvenuta la caduta del fascismo, dopo l’armistizio dell’8 settembre, quando il definitivo collasso della nazione si previde imminente, i più ardimentosi del paese confluirono nelle file della Resistenza contro i nazi-fascisti. Vennero gettate le basi per la ricostruzione in Appignano dei partiti politici.

L’attività partigiana nella zona di appignano fu molto temperata. Non ci furono azioni violente di guerra; ci si attenne a compiere una azione fiancheggiatrice delle forze Alleate, a prestare aiuti ai prigionieri e a guidarli nel passaggio del fronte. In effetti in Appignano, sotto il comando dell’ing. Stipa ebbe sede uno dei più importanti gruppi partigiani della provincia, direttamente collegati con i servizi segreti dell’ ottava armata britannica.

In casa Stipa era installata una radio ricetrasmittente collegata con i comandi alleati in Algeri a Bari e a Lanciano alla quale faceva capo la famosa organizzazione della rat-line. Questa non era altro (in codice) che una linea di caposaldi che andavano da Appignano a Guardiagrele, lungo la quale venivano avviati i prigionieri inglesi per consentire loro di attraversare il fronte e riprendere la loro attività bellica. Ed era ovvio che in tali condizioni bisognava innanzitutto evitare azioni eclatanti di guerriglia per non richiamare l’attenzione dei tedeschi.

Nel ’44, perdurante l’occupazione nazista e quindi in forma clandestina, venne ripresa in Appignano del Tronto l’attività organizzativa dei partiti politici. I restanti esponenti del vecchio Partito Popolare gettarono le basi della nuova Democrazia Cristiana. Tra questi: Giovanni Armillei, Romano Grelli, Cesare Di Giacomi, Nicola Carosi, Luigi Stipa ed altri.

Intanto in attesa dell’arrivo degli eserciti Alleati, fermi sul fronte di Vasto-Lanciano, con i tedeschi spesso di pattuglia in Appignano in quanto presidiavano il grande deposito di munizioni dislocato lungo la strada comunale Appignano-Campolungo, gli elementi antifascisti di maggiore spicco provvidero alla costituzione in paese del Comitato di Liberazione Nazionale (CLN). Vi parteciparono: Serafino Galli, di orientamento monarchico liberale, il più giovane del gruppo Nicola Carosi, in rappresentanza della Democrazia Cristiana, Pacifico Pucci, del partito comunista, Gaspare Scarpetti del partito liberale,  Goffredo Scarpetti del partito d’Azione, e Tommaso Marinelli in rappresentanza del partito Democratico del Lavoro.

Quando poi l’arrivo degli Alleati sembrò imminente, i membri del CLN locale affrontarono il problema della formazione che avrebbe dovuto reggere il paese fino alla prima democratica consultazione elettorale che si sarebbe tenuta nel ’46. Nel luglio del ’44 infatti il CLN nominò sindaco di Appignano Serafino Galli e una giunta di cui facevano parte come assessore: Nicola Carosi (DC), Giulio Carosi (PC), Adamo Volpi (PSI), Tommaso Marinelli (PD del Lavoro), Gaspare Scarpetti (PLI) e Goffredo Scarpetti (Pd’Azione).

Avvenuta la liberazione dal giogo nazi-fascista, con l’arrivo degli Alleati e di un gruppo di partigiani della resistenza, anche in Appignano si intensificò l’organizzazione dei partiti politici. La popolazione fin dai primi momenti della riconquistata libertà, mostrò simpatia per il partito di ispirazione cristiana che già nel 1921 aveva dato prova di grande capacità di aggregazione conquistando la maggioranza assoluta dei suffragi elettorali. La Democrazia Cristiana appignanese si preparò con scrupolo agli appuntamenti elettorali collezionando una vittoria sull’altra. Dopo la vistosa affermazione conseguita il 2 giugno per l’Assemblea Costituente, consolidò ulteriormente le sue posizioni raggiungendo una schiacciante superiorità (1168 voti su 1879 votanti), rispetto agli altri partiti nelle politiche del 18 aprile 1948. Vinse brillantemente le prime amministrative del marzo ’46, assumendo le redini dell’amministrazione comunale e fino alle politiche del 1958 mantenne saldamente la maggioranza assoluta dei suffragi popolari.

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